Le recessioni gengivali

La recessione è uno spostamento del margine gengivale verso l’alto se coinvolge il dente dell’arcata superiore o verso il basso se, al contrario, il dente affetto è quello inferiore. La recessione può essere singola, se interessa un unico elemento dentario, o multipla, se coinvolge più denti. Il paziente molto spesso percepisce la recessione osservando che un dente appare più lungo rispetto a quelli vicini. Diversi sono i fattori che possono dare origine alla recessione. Tra questi ritroviamo una predisposizione genetica, un errato utilizzo dei presidi di igiene orale domiciliare, un accumulo di placca batterica localizzata ed infine la parodontite (o piorrea).

La terapia delle recessioni è molto spesso di tipo chirurgico, ma viene sempre preceduta dall’eliminazione del fattore causale; ad esempio, se la causa è legata ad un uso scorretto dello spazzolino manuale, la prima indicazione sarà quella di motivare ed istruire il paziente alla corretta igiene domiciliare. Una volta riconosciuta ed eliminata la causa, si procede con l’intervento, il cui obiettivo è quello di ricostruire la parte di gengiva mancante migliorando qualitativamente e quantitativamente i tessuti gengivali attorno al dente. Molto spesso, quando le condizioni iniziali lo suggeriscono, è indicato l’utilizzo di un innesto di tessuto gengivale prelevato dal palato per consentire il raggiungimento dell’obiettivo prefissato.

Apnea Notturna - Studio Motta Jones - Rossi - Associati

Apnea notturna: rischi, sintomi e rimedi

La sindrome dell’apnea notturna: di cosa si tratta?

Non è raro sentir parlare di apnea notturna: un fenomeno piuttosto frequente che può riguardare bambini e adulti. Come si può facilmente intuire dal nome, le apnee notturne causano l’interruzione – che può durare da qualche secondo a pochi minuti – o il rallentamento eccessivo della respirazione durante il sonno, una o più volte a notte (possono essere anche più di 30 in un’ora) a seconda della gravità della sindrome. Quando si è svegli l’aria fluisce nei polmoni grazie al sostegno dei muscoli del collo che tengono aperte le vie respiratorie e che, mentre si dorme, si rilassano causando un lieve restringimento delle stesse, senza per questo impedire all’aria di entrare e uscire. Se si soffre di apnee notturne, invece, le vie respiratorie possono rimanere ostruite. Durante queste apnee, generalmente, si passa da una fase di sonno profondo ad un’altra di sonno leggero e in seguito la respirazione torna ad essere regolare, qualche volta accompagnata dal forte russare.

Come si fa a sapere se si soffre di apnea notturna?

Statisticamente, gli uomini sono più a rischio delle donne per quanto riguarda questa patologia ma il “diretto interessato”, in genere, non ha modo di accorgersi di essere affetto dalla sindrome dell’apnea notturna, soprattutto se vive da solo: l’unico segnale di cui può rendersi conto è la sonnolenza ripetuta durante il giorno, ma spesso si finisce per attribuirla ad altri fattori. Normalmente sono le persone che dormono insieme al paziente oppure chi lo osserva e ascolta durante il sonno – come nel caso di un bambino – ad accorgersi di qualche sintomo. Non esistono esami del sangue che possano diagnosticare questa sindrome, quindi è importante valutare insieme al medico i “segnali” durante un periodo di osservazione. Si esamineranno gli eventuali precedenti di apnea in famiglia e si verificherà la presenza di gonfiori o ingrossamenti dei tessuti nella bocca, nel naso e nella gola. La cattiva qualità del sonno di chi soffre di apnea notturna può causare il rilascio degli ormoni dello stress che fanno aumentare la frequenza cardiaca e questo può essere uno dei fattori d’allarme per identificare la malattia. Uno dei sintomi più frequenti delle apnee notturne è il continuo e forte russamento che, se interrotto da pause, è seguito da un ansimare o boccheggiare del paziente; il russamento di solito è più forte quando si dorme supini. Ma attenzione: russare non significa necessariamente soffrire di apnee notturne!

Di fronte alla possibile diagnosi di apnea notturna, si può effettuare la polisonnografia in ospedale o in una clinica specializzata oppure si può ricorrere ad un monitor portatile a domicilio, per registrare l’attività cerebrale, i movimenti oculari, il battito cardiaco e la pressione.

Le diverse tipologie e cause dell’apnea notturna

A seconda di come si verifica il fenomeno dell’apnea notturna durante il sonno, sono state classificate due tipologie:

  • si parla di apnea ostruttiva se le vie respiratorie si ostruiscono oppure collassano e l’aria che attraversa l’ostruzione provoca forte russamento. È particolarmente frequente nelle persone in sovrappeso e nei bambini con tonsille ingrossate;
  • meno frequente l’apnea centrale, causata dalla mancanza di “invio” dei segnali corretti da parte della zona del cervello che controlla la respirazione ai muscoli che partecipano alla sua attivazione, diffusa ad esempio tra chi fa uso continuo di certe tipologie di farmaci.

Le vie respiratorie di chi soffre di apnea notturna restano del tutto o parzialmente ostruite perché:

  • i muscoli del collo e la lingua si rilassano troppo;
  • la lingua e le tonsille sono di dimensioni eccessive rispetto all’ampiezza delle vie respiratorie;
  • l’adipe in eccesso di un soggetto in sovrappeso può far ispessire le pareti della trachea;
  • la particolare struttura ossea di testa e collo provoca il restringimento delle vie respiratorie;
  • l’età avanzata del paziente causa una diminuzione della capacità degli impulsi nervosi di mantenere rigidi i muscoli del collo durante il sonno.

Quali rischi corre chi soffre di apnea notturna?

L’apnea notturna può alterare il metabolismo contribuendo alla possibilità di andare incontro ad obesità e diabete. Se le vie respiratorie sono parzialmente o totalmente occluse durante il sonno, i polmoni non ricevono la quantità d’aria necessaria, quindi si può verificare anche un abbassamento repentino del livello di ossigeno nel sangue; il cervello inizierà a “disturbare” il sonno per cercare di irrigidire i muscoli delle vie aeree superiori e di tenere aperta la trachea. Ne può derivare un aumento della frequenza cardiaca, aritmie o anomalie del battito fino all’insufficienza cardiaca e conseguente rischio di ipertensione, infarto, ictus. La mancanza di sonno può portare ad incidenti sul lavoro o alla guida di veicoli.
Alcuni dei sintomi “campanello d’allarme” sono al contempo delle conseguenze fastidiose di questa patologia come:

  • mal di testa frequenti la mattina;
  • problemi di memoria, apprendimento e concentrazione;
  • irritabilità, depressione, sbalzi d’umore;
  • necessità di alzarsi frequentemente la notte per urinare;
  • sensazione di bocca asciutta o mal di gola al risveglio.

La cura dell’apnea notturna

Nella maggior parte dei casi per eliminare il fenomeno delle apnee notturne, si consiglia innanzitutto di modificare alcune cattive abitudini e lo stile di vita. Alcuni esempi sono:

  • abolire il fumo
  • ridurre o abolire il consumo di alcol e sostituire i farmaci che provocano sonnolenza
  • dimagrire in caso di sovrappeso
  • abituarsi a prendere sonno stando sdraiati su un fianco invece che supini, eventualmente anche con l’aiuto di cuscini
  • valutare il ricorso a spray nasali o farmaci contro le allergie, per migliorare la respirazione

Il dentista o l’ortodontista possono realizzare un apparecchio su misura per rimettere in posizione la mandibola e la lingua e tenere aperte le vie respiratorie mentre si dorme, soprattutto nei casi di apnea notturna lieve.
Quando questi accorgimenti non bastano, la terapia più comune per curare l’apnea notturna è quella con il ventilatore a pressione positiva continua (CPAP), uno strumento che crea una lieve pressione d’aria per tenere aperte le vie respiratorie mentre si dorme. Questo ventilatore deve essere regolato le prime volte dal personale qualificato: il flusso d’aria dell’apparecchiatura viene modificato in base alle necessità del paziente.
Esiste anche la possibilità di ricorrere ad un intervento chirurgico per allargare le vie respiratorie, rimuovendo o restringendo i tessuti in eccesso nella cavità orale, oppure risistemando la mandibola. La rimozione delle tonsille, invece, può risultare idonea nei bambini in cui queste sono responsabili di ostacolare la respirazione.

Devitalizzare un dente - Studio Motta Jones - Rossi - Associati

Devitalizzare un dente: quando e perché è necessario

Quando è indispensabile devitalizzare un dente?

Il dente contiene al suo interno del tessuto molle che è fatto di fibre nervose, vasi sanguigni e tessuto connettivo. Queste strutture mantengono il dente vitale, idratato e capace di avvertire determinati stimoli termici e meccanici dell’ambiente orale e che vengono applicati sul dente stesso. Vi sono però alcune situazioni patologiche che possono compromettere la vitalità del dente.

Per esempio, la carie profonda è in grado di creare infezioni batteriche che dal dente possono poi propagarsi fino alla polpa dentaria. Vi sono poi casi in cui una lesione traumatica a livello di uno o più denti può causare la degenerazione polpa dentaria in quanto la dislocazione del dente può causare l’interruzione dei vasi sanguigni che nutrono la polpa dentaria.

Spesso, prima di andare incontro alla degenerazione del tessuto pulpare, detta anche necrosi della polpa dentaria, si può avere anche una forte infiammazione del tessuto in questione. Questa è la classica situazione denominata pulpite, in cui si avverte un fortissimo mal di dente “pulsante”. Il mancato intervento in casi in cui è in atto un processo di degenerazione della polpa dentaria può portare alla formazione di ascessi o granulomi. Infatti, se il tessuto in via di disfacimento viene lasciato all’interno del dente si formano in tempi variabili delle sostanze che fuoriescono dalla radice del dente andando ad intaccare il tessuto osseo circostante.

L’ascesso è la forma di infiammazione acuta e la sua mancata cura può portare anche a quadri clinici gravi con dolore e gonfiore molto importanti dovuti all’accumulo di pus. Il granuloma è invece una lesione cronica, spesso ignorata dal paziente, ma che può trasformarsi in ascesso. Altri sintomi che si possono spesso riscontrare sono il marcato dolore che si avverte quando si mastica su un dente. Questo fenomeno è dovuto allo sviluppo di un processo infiammatorio che coinvolge l’innervazione nella zona tra la radice del dente e l’osso.

Un dente necrotico può anche presentarsi di colore più scuro a seguito del fatto che il tessuto interno di fatto “marcisce” e diversi prodotti secondari di questo processo sono anche in grado di pigmentare i tessuti duri del dente. In situazioni del genere, è necessario procedere alla cosiddetta cura canalare che consiste nella rimozione completa della polpa dentale contenuta nel corpo del dente a nei canali delle sue radici. Oltre alla rimozione del tessuto molle, è fondamentale eseguire anche un’accurata disinfezione e successiva sigillatura della cavità che residua dallo svuotamento. Nel caso in cui il dente contenga ancora una polpa vitale, come nel caso della pulpite, la stessa manovra di svuotamento del contenuto di tessuto molle del dente viene denominato devitalizzazione del dente. Quindi, devitalizzare un dente in pulpite consente di ottenere anche l’effetto fondamentale di togliere il forte dolore.

Ove indicato, devitalizzare un dente è quindi una terapia in grado di salvare la componente di tessuto duro esterno del dente. Una volta, quando le tecniche di terapia canalare non erano sviluppate come ai giorni nostri, l’unica soluzione per denti doloranti o causa di infezione era l’estrazione. Va però sottolineato il fatto che non sempre è possibile devitalizzare un dente, soprattutto nei casi in cui il dente si presenti con grosse carie o fratture. Successivamente alla devitalizzazione, soprattutto per i denti posteriori che sono i più attivi nei processi di masticazione, è poi indicato una loro ricopertura protettiva tramite degli intarsi o delle corone protesiche, le cosiddette capsule dentarie. Il motivo di ciò è che la mancata idratazione del dente è causa di una minore elasticità del dente stesso e ciò li rende facilmente soggetti a fratture che potrebbero portare successivamente all’estrazione.

Vediamo cosa significa devitalizzare un dente

La terapia canalare – devitalizzare un dente – è un intervento odontoiatrico che rientra sotto la disciplina chiamata endodonzia. Lo svuotamento del dente è un’operazione che richiede una certa pazienza e precisione. Infatti, lavorare in spazi ridotti come quello dell’interno del dente può portare a lesioni indesiderate causate da errate manipolazioni dello strumentario. L’obiettivo primario è quello di asportare completamente il tessuto molle all’interno del dente e per fare ciò vengono impiegati strumenti meccanici e detergenti chimici.

Il trattamento meccanico prevede di sagomare il tragitto che la polpa fa all’interno del canale della radice secondo una progressione di strumenti che ne consenta la successiva introduzione di materiale da sigillatura. Al trattamento meccanico, vengono anche associati dei prodotti chimici che hanno la funzione di detergere e disinfettare il lume canalare che si sta sagomando. Terminata questa fase delicata, si riempie l’interno del canale con del materiale da sigillatura. I materiali più comuni che vengono impiegati sono la guttaperca e cementi a base di ossido di zinco ed eugenolo. In situazioni dove ci fosse infezione è anche opportuno utilizzare delle medicazioni intermedie. Infatti, finché non si è certi che il dente sia completamente senza sintomi non è bene sigillare il canale.

È importante effettuare una terapia canalare o la devitalizzare un dente con il corretto posizionamento della diga di gomma di modo che il singolo dente sia isolato dal resto della bocca per evitare che contaminanti come la saliva ed i batteri in essa contenuti entrino dentro il dente che si sta trattando vanificando i tentativi di disinfezione.
Le tempistiche di una terapia canalare o della devitalizzazione di un dente possono variare a seconda del numero di canali da trattare. Per esempio, i denti che presentano un solo canale diritto, come gli incisivi, in genere vengono trattati in una sola seduta da un’ora. I denti posteriori, in particolare i molari, possono anche richiedere più di una seduta in quanto presentano tre o più canali. Inoltre, la posizione posteriore di questi elementi dentari e la conformazione delle radici possono rendere particolarmente difficoltoso il manovrare gli strumenti in modo agevole.

Cosa comporta devitalizzare un dente?

Prima di devitalizzare un dente o terapia canalare, è di fondamentale importanza che l’odontoiatra esegua una corretta diagnosi e valuti l’effettiva possibilità di procedere a questo tipo di cura conservativa. È importante eseguire una radiografia mirata al dente e l’effettuazione delle opportune manovre diagnostiche in bocca. Una volta che si è individuato il dente da curare è bene prendersi il tempo necessario per eseguire le cure nei tempi e nelle modalità corrette. Prima che il dente venga ricostruito o incapsulato, è sicuramente una precauzione importante evitare di mangiare cibi duri dopo la devitalizzazione e non masticare dalla parte in cui è stata eseguita.
Infatti, come già accennato, il rischio di frattura dei denti devitalizzati è alto. Tuttavia devitalizzare un dente è ormai considerata un’operazione di routine con altissime percentuali di successo. Bisogna infine considerare che in alcuni casi la devitalizzazione di un dente potrebbe non essere praticabile come in caso di canali radicolari non accessibili, denti gravemente fratturati o supporto osseo inadeguato.

Devitalizzare un dente: dopo farà male?

Anche se si potrebbe pensare che un dente che ha perso la vitalità non dovrebbe percepire più alcuna sensazione di fastidio, in realtà a volte il dente che ha subito una terapia canalare può fare male. Anzi, una situazione tipica è quella di un dente che viene trattato dopo la scoperta casuale di un granuloma che fino ad allora non aveva dato alcun segno. Paradossalmente, a seguito delle cure canalari, ci può essere una sorta di reazione ed il paziente protesta per dolore che ritiene sia stato causato dalle cure stesse.

In realtà, si tratta di una reazione alla strumentazione ed alla reazione ai prodotti che possono andare ad irritare i tessuti attigui. Ad ogni modo, si tratta di situazioni che, per quanto indesiderati, si risolvono in poco tempo. In alcuni casi, sarà necessario l’assunzione di antidolorifici e/o antibiotici. Vi sono anche dei casi in cui devitalizzare un dente può non avere gli effetti sperati. Ciò accade soprattutto in denti in cui l’infezione si è protratta troppo a lungo nel tempo ed i batteri hanno creato delle colonie molto resistenti, sia all’interno dei canali del dente, sia all’esterno della radice. In questi casi non resta altro che estrarre il dente. Infine, si possono anche riscontrare precedenti terapie canalari effettuate non in modo completo. In tali casi si parla di “ritrattamento endodontico”. Si tratta di situazioni dove però le percentuali di successo sono molto inferiori in quanto il precedente intervento potrebbe presentare delle caratteristiche che limitano o impediscono un reintervento.

Quando si deve ricorrere alla cura canalare, è importante rivolgersi ad uno studio dentistico professionale ed affidabile, che garantisca la massima igiene e attenzione durante l’intervento e si avvalga di medici dentisti esperti in endodonzia, ossia la specializzazione nella diagnosi e nel trattamento di infezioni o traumi della polpa del dente.

Studio Motta Jones - Rossi - Associati - il tuo sorriso

Il tuo sorriso

Non nasconderti quando sorridi. È un aspetto importante di te! Sorridi sempre: la tecnologia digitale può aiutarti. Il digital smile design e i mock up virtuali stanno rivoluzionando la comunicazione e il rapporto tra paziente e dentista.
Grazie all’utilizzo della fotografia e delle impronte digitali (non quelle delle dita!), oggi è possibile mostrare al paziente la sua situazione iniziale e fornire una previsione di come potrebbe migliorare il suo sorriso. I rendering realistici mostrano esattamente come sarà il sorriso del paziente al termine dei trattamenti di estetica dentale

PROVA IL TUO SORRISO PRIMA DEL TRATTAMENTO!

Per rendere meglio l’idea: è un po’ come quando si va dall’architetto che ci mostra, attraverso i render, come sarà la nostra casa dopo i lavori di ristrutturazione. Allo stesso modo, la tecnologia digitale è in grado di mostrarti come sarà il tuo sorriso dopo le cure. Ma non finisce qui! Lo studio dentistico Motta Rossi, Jones e Associati ha un’arma in più: grazie alle mascherine in silicone e alle resine – prodotti che garantiscono una resa estetica di alta qualità – siamo in grado di applicare il nuovo sorriso in prova. Sì, hai capito bene! Potrai guardarti allo specchio e vedere come ti sta questo nuovo sorriso. Potrai tornare a casa e mostrarlo anche alla tua famiglia, un parere estetico in più non fa mai male. Potrai provare il tuo nuovo sorriso prima ancora di iniziare il trattamento vero e proprio e valutare se ti piace.

IL RENDERING ESTETICO PER IL TUO SORRISO

Il rendering estetico dura pochi giorni, giusto il tempo per capire, visualizzare e apprezzare come sarà il risultato: un sorriso finalmente smagliante e senza imperfezioni.
Attenzione però, perché questa non è una scorciatoia. Ricorda sempre che esistono degli step imprescindibili a qualsiasi trattamento odontoiatrico:

  • La diagnosi parodontale (lo stato di salute di gengive, legamento parodontale e osso);
  • La cariologica (carie dentarie);
  • L’ortognadontica (malocclusioni e malposizioni dentarie).

È importante comprendere che non è saggio applicare un qualsiasi dispositivo protesico senza una corretta diagnosi. Anzi, potrebbe rivelarsi un errore gravissimo con il conseguente fallimento precoce della riabilitazione.

Grazie alla tecnologia digitale, una vera e propria rivoluzione in campo odontoiatrico e nell’estetica dentale, il tuo nuovo sorriso non è più a scatola chiusa. Puoi provarlo e decidere se fa per te.
Charlie Chaplin diceva: “Un giorno senza un sorriso è un giorno perso”.
Sorridi sempre!

Studio Motta Jones - Rossi - Associati - pulizia dei denti e detartrasi

Pulizia dei denti e detartrasi

La detartrasi è una prestazione odontoiatrica molto richiesta dai pazienti che si rivolgono allo Studio dentistico Motta Jones, Rossi e Associati. Detartrasi o ablazione del tartaro sono i termini tecnici per indicare la pulizia dei denti professionale: un’attività fondamentale, poiché è alla base del mantenimento della salute del cavo orale. Dona inoltre una sensazione di benessere, pulizia e freschezza all’interno della bocca.

Generalmente la detartrasi andrebbe effettuata ogni 6 mesi, ma questo dipende molto dal paziente. Ci sono pazienti che seguono scrupolosamente i nostri consigli sulla corretta e frequente igiene orale e che hanno quindi bisogno di una pulizia dei denti professionale anche annuale. E quei pazienti fortunati che presentano dei requisiti fisiologici per cui non hanno bisogno di una detartrasi frequente (in media una volta l’anno):

  • Hanno una dentatura che si autodeterge bene;
  • La loro saliva ha una composizione minerale ottimale.

QUALI SONO LE PATOLOGIE DEL CAVO ORALE CAUSATE DA UNA SCARSA PULIZIA DEI DENTI?

Le due patologie del cavo orale più diffuse sono la carie e la malattia parodontale, che come sappiamo può sfociare in quella che comunemente viene chiamata piorrea.

  • La carie è provocata dalla placca batterica, ossia dai batteri che vivono e proliferano nella bocca;
  • La malattia parodontale è provocata principalmente dal tartaro.

La prevenzione della carie e delle malattie parodontali passa attraverso una corretta igiene orale quotidiana attraverso un uso frequente di spazzolino e filo interdentale.

PERCHÈ È NECESSARIA LA PULIZIA DEI DENTI PROFESSIONALE?

Le ragioni principali che rendono necessaria la detartrasi sono:

  • Prevenire la formazione del tartaro e della carie;
  • Impedire l’insorgenza di patologie che possono compromettere la salute del paziente (in particolare cardiopatie e complicazioni del diabete). Generalmente molti pazienti adulti soffrono di una qualche forma di malattia parodontale (anche lieve, basti pensare a quante volte le gengive sanguinano durante lo spazzolamento dei denti). I batteri implicati nella gengivite possono influenzare significativamente la salute generale.

La detartrasi serve a rimuovere i depositi di placca e tartaro dai denti. Si tratta di accumuli naturali, ma una quantità eccessiva può provocare malattie dentali e gengivali.
Presso lo studio odontoiatrico Motta Jones, Rossi e Associati collaborano igienisti dentali professionisti che svolgono la detartrasi, utilizzando strumenti adeguati e fornendo consigli utili per mantenere la salute del cavo orale.
La placca è una sostanza di colore biancastro, formata da batteri che vivono e proliferano nella bocca e producono un acido che a lungo andare corrode lo smalto dei denti e le gengive. Grazie alla pulizia dei denti professionale e alla corretta e quotidiana igiene orale, è possibile prevenire la formazione del tartaro, che si forma appunto quando la placca non viene rimossa adeguatamente.

LE TECNICHE DI PULIZIA DEI DENTI PROFESSIONALE

Gli strumenti professionali impiegati per la detartrasi presso il nostro studio dentistico associato sono:

  • Gli ablatori dentistici a ultrasuoni, che combinano la vibrazione e il flusso d’acqua pressurizzata per rimuovere la placca;
  • Strumenti di precisione (raschiatori o curette), che vengono utilizzati per rimuovere i depositi di placca e lucidare la superficie dei denti;
  • La pasta abrasiva, impiegata per rimuovere le macchie di fumo e di caffè, i depositi di placca ed è utile nello sbiancamento dei denti (link interno SBIANCAMENTO DEI DENTI);
  • La luce laser.

I nostri igienisti dentali valutano la salute orale del paziente per stabilire la giusta tecnica di detartrasi.

PULIZIA DEI DENTI FAI DA TE. I NOSTRI CONSIGLI

Praticare una corretta e quotidiana igiene orale è fondamentale per mantenere la salute di denti e gengive e per prevenire la formazione del tartaro. Quando il tartaro si forma l’unico modo per eliminarlo è quello di sottoporsi alla detartrasi. Prima di arrivare a questo punto, però, è possibile prevenire il tartaro seguendo i nostri consigli:

  • Spazzolate regolarmente i denti dopo ogni pasto (o comunque almeno 2 volte al giorno) per circa 2 minuti;
  • Utilizzate uno spazzolino con setole morbide, che non sia aggressivo per le gengive;
  • Lo spazzolamento dei denti, per essere realmente efficace, deve includere anche le superfici più difficili da raggiungere (dietro i denti e sulla parte posteriore dei molari);
  • Sostituite lo spazzolino regolarmente, quando appare rovinato (di solito ogni 2 mesi);
  • Scegliete dentifrici non aggressivi;
  • Utilizzate regolarmente il filo interdentale, che molti pazienti dimenticano, ma che è in grado di eliminare circa il 40% di placca;
  • Utilizzate un collutorio antisettico e antibatterico senza alcol. Forse pochi pazienti sanno che l’alcol secca la bocca e, al contrario di quello che si crede, promuove la proliferazione batterica;
  • Spazzolate anche la lingua, poiché è una parte del cavo orale in cui si annidano i batteri ed è fondamentale pulirla tutti i giorni;
  • Possibilmente evitate di mangiare cibi troppo zuccherini, che rilasciano acidi nocivi per i denti;
  • Bevete molta acqua;
  • Non fumate, poiché il fumo è tra le maggiori cause di formazione del tartaro.
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Gli impianti dentali stampati In 3d che potrebbero cambiare la vita a chi porta la protesi o dentiera

Tutte le novità riguardo la ricerca e l’introduzione di nuovi materiali o tecniche nel settore medico-dentale, sono un interesse costante dei soci dello studio dentistico Motta Jones – Rossi e Associati, a Milano centro. Un argomento di grande attualità in altri settori differenti dall’odontoiatria è la cosiddetta stampa in 3D. Recentemente, in diversi centri di ricerca nel settore medicale, si sta testando la possibilità di applicare questo tipo di tecnologia per lo studio e la cura di diverse patologie che affliggono l’uomo. Un settore particolarmente promettente consiste nella ricostruzione dei tessuti duri e molli del corpo, impiegando biomateriali diversi dagli innesti di osso prelevato dal paziente o da altri donatori. Tali studi servono anche a valutare la possibilità di fissare protesi dentarie fisse o mobili (dentiera) con metodiche alternative rispetto all’implantologia dentale odierna. Aziende come Cadskills o Materialise si stanno focalizzando in modo significativo verso questa direzione con l’approccio che coniuga fortemente l’impiego delle più avanzate tecnologie informatiche con la cura dei pazienti.

IL PROBLEMA DELLA DENTIERA

La soluzione tradizionale per compensare la perdita di numerosi denti naturali, è la loro sostituzione tramite l’inserimento di protesi rimovibili, come la dentiera, nella bocca del paziente. Tali protesi sono realizzate con barre in metallo e/o placche in resina che supportano a loro volta i denti mancanti. La situazione più estrema è rappresentata dalla classica dentiera, che è di fatto una placca in resina che appoggia sulla gengiva e sui tessuti molli circostanti. Su questa placca sono montati i denti artificiali in resina, che mimano la posizione e la forma della dentatura naturale.
Come è facile capire, la dentiera e le altre tipologie di protesi rimovibili non hanno mai rappresentato la soluzione ottimale. Nel breve e nel medio periodo si evidenziano spesso diverse problematiche molto difficili da risolvere in modo definitivo:

  • L’irritazione e l’infiammazione della gengiva e dei tessuti molli circostanti, provocate dalla dentiera;
  • La difficoltà nella masticazione e nel linguaggio, un problema molto frequente riscontrato nei pazienti che portano la dentiera;
  • La mobilità della protesi (in particolare se si tratta di una dentiera completa);
  • Il disagio psicologico del paziente;
  • La difficoltà, per chi porta una dentiera, di mantenere un buon grado di igiene orale e le conseguenti infezioni del cavo orale.

A tal proposito, abbiamo già pubblicato un articolo interessante sull’argomento.

DENTIERA vs IMPLANTOLOGIA CONTEMPORANEA: VANTAGGI E LIMITI

Dove possibile, le attuali tecniche di implantologia dentale consentono di sostituire i denti persi e di riabilitare la masticazione in modo relativamente rapido ed efficace, scongiurando tutte le problematiche legate all’uso di protesi rimovibili come la dentiera. E ad oggi, sono numerosi i pazienti portatori di denti artificiali supportati da impianti dentali, che non sono più costretti a portare la dentiera. Va però sottolineato il fatto che esistono ancora parecchie situazioni dove le condizioni per l’inserimento degli impianti dentali non sono ideali. Infatti, affinché un impianto sia correttamente funzionante deve essere integrato completamente nel tessuto osseo che circonda l’impianto stesso. E, affinché ciò avvenga, è necessario attendere diversi mesi, altrimenti c’è il rischio che l’intervento di implantologia fallisca. Una volta che l’impianto è integrato, viene finalmente applicato il dente artificiale, in alternativa all’applicazione di protesi mobili come la dentiera.
Da quanto detto finora, è quindi chiaro che una condizione importante per poter inserire un impianto dentale è che ci sia osso a sufficienza lungo tutta la lunghezza e il perimetro dell’impianto. Nelle situazioni in cui vi sia carenza di tessuto osseo è necessario eseguire delle procedure di chirurgia rigenerativa ossea, ma si tratta di interventi delicati, complessi e costosi. Inoltre, i tempi riabilitativi complessivi vengono allungati in quanto è necessario attendere anche i tempi di guarigione dell’innesto osseo. Pertanto, diversi pazienti si trovano a dover rinunciare a riabilitare la propria masticazione con protesi fisse su impianti dentali rimanendo senza denti o portando delle protesi rimovibili (dentiera).

LA STAMPA 3D SARÀ IN GRADO DI RIVOLUZIONARE L’IMPLANTOLOGIA DENTALE ED ELIMINARE L’USO DELLA DENTIERA?

La tecnologia di stampa 3D è in continua evoluzione e non passa mese in cui non vengano introdotte delle novità interessanti, tecniche all’avanguardia che potrebbero definitivamente scongiurare l’uso della dentiera. La tecnica che ha attirato la nostra attenzione, e che si pone anche l’obiettivo di eliminare l’inserimento di protesi mobili come la dentiera, prende spunto da una vecchia metodica implantologica, che nel passato non ha avuto un grande seguito, a causa dei limiti e delle problematiche che presentava. Si tratta dei cosiddetti impianti sottoperiostei.

Quando ancora non esistevano le attuali tecnologie di modellazione CAD (Computer Aided Design), la progettazione e la realizzazione degli impianti sottoperiostei era estremamente complessa ed imprecisa. Inoltre, non esisteva ancora la tecnologia di stampa 3D e quindi non era possibile utilizzare il titanio. Al suo posto venivano utilizzate altre leghe, che però non avevano le stesse caratteristiche di biocompatibilità. È quindi facile comprendere come in passato l’uso della dentiera, o di altre protesi removibili, fosse considerato una soluzione facile e veloce, pur restando provvisoria e non ottimale.

GLI IMPIANTI SOTTOPERIOSTEI E L’ABBANDONO DELLA DENTIERA

A differenza degli impianti a vite in titanio, gli impianti sottoperiostei sono costituiti da una specie di telaio con flange in metallo, posizionate con apposite viti sulla superficie dell’osso mandibolare o mascellare. In determinati punti vengono collocati gli ancoraggi che serviranno a garantire la ritenzione della futura protesi dentale. Il dispositivo viene progettato al computer, estrapolando la ricostruzione tridimensionale dell’anatomia del paziente da una tomografia assiale computerizzata (TAC). Una volta eseguito il disegno completo dell’impianto si è pronti per inviare i dati e far realizzare il prodotto finito in titanio, tramite stampante 3D. Successivamente, l’impianto viene inviato al clinico, il quale pianificherà l’intervento chirurgico del caso.
In questo modo, sarebbe possibile ovviare a tutte quelle situazioni dove è necessario eseguire dei complessi interventi di rigenerazione dell’osso per creare le condizioni di inserimento di un impianto a vite.

Osteonecrosi mandibolare e farmaci bifosfonati: dettaglio osso - Studio dentistico associato in centro a Milano

L’osteonecrosi mandibolare ed i farmaci bifosfonati

I farmaci bifosfonati

I farmaci bifosfonati sono una categoria di farmaci in grado di inibire il riassorbimento osseo. La funzione dei bifosfonati è quella di bloccare la diminuzione della densità ossea promossa dagli osteoclasti (le cellule ossee che contribuiscono a riassorbire l’osso in vista del rimodellamento osseo fisiologico).

I bifosfonati sono largamente utilizzati per il trattamento preventivo e terapeutico di patologie ossee quali l’osteoporosi, l’osteite deformante, le metastasi ossee, il mieloma multiplo e altri disturbi fisici che possono determinare una fragilità ossea nel paziente.

I bifosfonati agiscono accumulandosi prevalentemente nelle sedi in cui è maggiore il rimodellamento osseo, determinando un’inibizione del riassorbimento dell’osso.

Un problema emergente di interesse medico multidisciplinare legato all’uso dei farmaci bifosfonati e che sta avendo una forte risonanza anche in campo odontoiatrico è quello dell’osteonecrosi delle ossa mascellari in particolari circostanze. Le attuali evidenze scientifiche non sostengono in modo chiaro l’esistenza di una correlazione diretta tra l’assunzione di farmaci bifosfonati e la comparsa della patologia. Vi sono però numerosi studi e rapporti epidemiologici che confermano invece l’esistenza di questo rapporto causa-effetto.

L’osteonecrosi mandibolare

L’osteonecrosi mandibolare è una patologia infettiva a carattere progressivo e solo recentemente associata alla terapia con farmaci bifosfonati. Attualmente non è ancora definito il quadro completo dei fattori di rischio che determinano questa patologia.

Relativamente all’uso dei bifosfonati, alcuni dati in letteratura scientifica li indicano come fattori patogenetici primari nell’insorgenza dell’osteonecrosi mandibolare a causa della loro alterata capacità di rimodellamento osseo.

L’osteonecrosi mandibolare è una patologia caratterizzata da due fasi:

  • La prima fase è prevalentemente asintomatica e non presenta alterazioni cliniche e radiografiche;
  • Nella fase avanzata della malattia il paziente può avvertire una sensazione di intorpidimento e bruciore della bocca.

Lo studio dentistico Motta Jones, Rossi e Associati è in grado di effettuare una diagnosi precoce di osteonecrosi mandibolare da bifosfonati, attraverso un attento esame della mucosa orale e un’indagine radiografica in grado di evidenziare alterazione ossee.

[image url=”/wp-content/uploads/2017/07/osteonecrosi-mandibolare-sezione-ossea-studio-dentistico-milano-centro.jpg” align=”right” shadow=”1″] L’osteonecrosi mandibolare è un disturbo che richiede un attento protocollo di prevenzione e terapeutico.

L’assunzione di bifosfonati è generalmente caratterizzata dalla necessità di un trattamento pluriennale. Probabilmente, è l’eccessiva quantità assunta ed il conseguente accumulo nel tessuto osseo – spesso inevitabile se si vogliono risolvere complicanze scheletriche importanti o ridurre metastasi ossee in pazienti affetti da patologia tumorale – a determinare questo nuovo disturbo.

In realtà, l’incidenza di osteonecrosi mandibolare non è elevata, anche se può variare dall’1,2% a 9,9% e chiaramente queste percentuali dipendono dalla dose di assunzione e dal tempo di trattamento con i farmaci bifosfonati. In genere, i pazienti considerati più a rischio sono quelli che hanno subito trattamenti per la cura delle patologie tumorali e che hanno assunto farmaci bifosfonati.

Quali sono i maggiori fattori di rischio che determinano osteonecrosi mandibolare?

I fattori di rischio legati all’osteonecrosi mandibolare sono:

  • Interventi di chirurgia orale (estrazione dentaria, implantologia);
  • Traumi del cavo orale;
  • La scarsa igiene orale;
  • Parodontopatie croniche;
  • L’età; generalmente i pazienti colpiti da osteonecrosi mandibolare sono di età superiore ai 40 anni;
  • Alcune condizioni fisiologiche, come la menopausa.
  • Malattie sistemiche come il diabete, l’obesità, l’insufficienza renale, l’anemia;
  • L’assunzione di terapie farmacologiche associate ai bisfosfonati (glucocorticoidi, ciclofosfamide, eritropoietina, ranitidina);
  • Il tabagismo.

La diagnosi di osteonecrosi mandibolare

[image url=”/wp-content/uploads/2017/07/osteonecrosi-mandibolare-confronto-osso-sano-osso-malato-studio-dentistico-milano-centro.jpg” align=”left” shadow=”1″] Il paziente affetto da osteonecrosi mandibolare presenta un’esposizione diretta di tessuto osseo non vitale, di colore bianco tendente al giallo, maleodorante e circondato da mucosa infiammata.

Molti dei pazienti che si rivolgono allo studio dentistico associato Motta Jones, Rossi, non hanno particolari sintomi. Un elemento fondamentale per una diagnosi precoce della patologia è sicuramente la sensazione di dolore che il paziente ci riferisce. Spesso, prima di arrivare alla vera e propria necrosi ossea, è possibile identificare sintomi tipici di un’infezione odontogena, tra cui:

  • Dolore;
  • Edema;
  • Ulcerazione delle mucose;
  • Mobilità dei denti.

Questi primi sintomi consentono ai medici dentisti che collaborano con il nostro studio odontoiatrico associato, di effettuare una diagnosi precoce.

La fase avanzata di osteonecrosi mandibolare presenta alcune caratteristiche inconfondibili, che in alcuni casi, se non trattate terapeuticamente in modo adeguato, possono contribuire ad aggravare il quadro sintomatologico:

  • Osteomielite suppurativa (infezioni e lesioni);
  • Fratture ossee;
  • Fistole cutanee;
  • Fistole orali e nasali.

L’impiego di radiografie, ci consente di effettuare una diagnosi dettagliata dell’osteonecrosi mandibolare. In particolare, in uno stadio avanzato della malattia si ha un aumento di infezione batterica e un incremento dei processi di demineralizzazione locale dell’osso, che causano appunto una condizione di fragilità ossea. Questi aspetti sono facilmente riconoscibili attraverso una radiografia.

I trattamenti terapeutici per la cura dell’osteonecrosi mandibolare

Nel caso in cui le condizioni di salute del paziente lo consentano, presso lo studio dentistico Motta Jones, Rossi e Associati ci occupiamo della gestione dell’osteonecrosi mandibolare attraverso due diverse strategie terapeutiche:

  • I pazienti che stanno assumendo bifosfonati da meno di 3 anni e che non presentano fattori di rischio clinici, vengono sottoposti ad interventi di chirurgia orale, parodontale e maxillofacciale;

I pazienti in terapia con bifosfonati da più di 3 anni generalmente praticano una sospensione della terapia per almeno 3 mesi prima di sottoporsi alla chirurgia orale. E se le condizioni di salute generale lo consentono, la sospensione terapeutica da bifosfonati può prolungarsi fino alla completa guarigione ossea.

Dentista: medico o artigiano? - Primo piano sala - Studio dentistico associato in centro a Milano

Il dentista: medico o artigiano?

Andiamo dal dentista per il mal di denti, le carie, le gengiviti, per rimpiazzare denti estratti e, ultimamente, su indicazione di osteopati, fisioterapisti e chinesiologi. I dentisti curano carie, gengive, mettono impianti, fanno corone e faccette (non le emoticon, ma sottilissime corone parziali in porcellana) esteticamente bellissime.

I pazienti, spesso personaggi famosi, esibiscono sorrisi smaglianti, dimostrazione dell’impegno di seri professionisti. Reality televisivi ci spingono a sottoporci a trattamenti anti-aging, denti compresi per recuperare il candido sorriso di quando eravamo ragazzini.

Queste sono terapie mediche o lavoro di estetisti, pur altamente specializzati? Ma soprattutto, estetica a parte, questi denti ringiovaniti svolgono sempre la loro funzione?

Il problema è che siamo “odontocentrici” e spesso non ci rendiamo conto che il dente è inserito in un contesto anatomico e funzionale tra i più complessi del nostro organismo. Il dentista, infatti, si è inventato una quantità di superspecializzazioni: conservativa, parodontologia, endodonzia, protesi fissa e mobile, chirurgia orale, implantologia, odontoiatria adesiva, pedodonzia, ortodonzia, gnatologia… Ognuno di noi coltiva il suo orticello spesso dimenticando che è parte di un insieme che si chiama apparato masticatorio costituito da ossa, denti, muscoli, legamenti e due articolazioni.

Un sistema complesso richiede una visione di insieme da parte del dentista

[image url=”/wp-content/uploads/2017/06/dentista-medico-artigiano-ragazza-con-sorriso-studio-dentistico-associato-milano-centro.jpg” align=”left”] Per essere precisi i muscoli mandibolari sono nove tra elevatori e abbassatori, anche la lingua viene mossa da nove muscoli e così fanno diciotto. Le articolazioni della mandibola sono due e sono le più mobili del nostro organismo. Le funzioni svolte dalla bocca sono tre: masticazione, deglutizione e fonazione. Tutte necessitano di coordinazione e fluidità di movimento. Come si intuisce un sistema così complesso richiede una visione di insieme e una valutazione dell’efficienza e dello stato di salute di tutte le sue componenti. Quindi, oltre che dentisti focalizzati sui denti e le relative strutture di sostegno, dobbiamo allargare i nostri orizzonti e diventare un po’ ortopedici e fisioterapisti occupandoci dei muscoli e delle articolazioni del distretto anatomico di nostra competenza.

Dobbiamo anche tenere presente che tutte le funzioni svolte dall’organo masticatorio implicano movimento senza contatto dentale, deglutizione a parte. Anche nel serramento e nel bruxismo si ha contatto diretto fra i denti, ma si tratta di parafunzioni che possono causare un grave sovraccarico funzionale, tanto da compromettere la qualità del sonno provocando frequenti risvegli, perché sono attività prevalentemente, anche se non esclusivamente, notturne. Queste considerazioni devono spingerci a valutare l’occlusione (la relazione spaziale fra le arcate dentarie) non come relazione statica, ma dinamica in cui i contatti fra i denti devono facilitare lo scorrimento e non creare vincoli meccanici ai movimenti mandibolari.

Il dentista come artigiano specializzato

La nostra professione è dominata dall’ossessione per i tecnicismi operativi che ci rendono più simili ad artigiani altamente specializzati che a medici. Come in tutta la medicina si dovrebbe iniziare la visita facendo domande al paziente, perché questo ci permette di scoprire cose che vanno oltre l’evidenza delle carie, delle tasche parodontali o delle malocclusioni. Qualche volta veniamo a sapere che il paziente soffre di cefalea ricorrente e dobbiamo essere capaci di fare una diagnosi differenziale fra una cefalea muscolo-tensiva, una cefalea a grappolo, un’emicrania o una fibromialgia. Questo perché anche secondo l’American Society of Orofacial Pain la cefalea muscolo-tensiva localizzata in zona frontale, parietale e periorbitale è molto spesso collegata a disturbi dell’articolazione temporo-mandibolare e, quindi, è di nostra competenza. Infatti l’80% dei pazienti affetti da problemi temporo-mandibolari soffre di cefalea contro il 20-23% del resto della popolazione.

Talvolta i pazienti sono totalmente asintomatici ed è possibile individuarli solo attraverso una palpazione delle articolazioni e dei muscoli masticatori riscontrando delle zone dolenti (punti grilletto). Questi ultimi pazienti sono i più “pericolosi” per il dentista, perché si tratta di persone il cui sistema è compensato, pertanto i sintomi non si manifestano durante lo svolgimento delle funzioni. Possono però entrare in crisi perdendo la capacità di compenso in seguito a una procedura odontoiatrica anche banale come una piccola otturazione, perciò è bene individuarli prima di avviare qualunque terapia.

Spesso risultano coinvolti anche i muscoli del collo, della nuca, delle spalle e anche la colonna vertebrale dorsale e lombare. In questi casi è facile vedere una correlazione fra disturbi dell’articolazione temporo-mandibolare e il resto del tronco, magari proprio un osteopata ha suggerito la visita odontoiatrica.

In altri casi, però, a patologie posturali, dolori lombari e cervicali non si associa un coinvolgimento delle articolazioni temporo-mandibolari e/o dei muscoli masticatori che risultano negativi alla palpazione e si può così escludere l’apparato stomatognatico come causa.

Esistono anche dei biotipi facciali che favoriscono l’insorgenza di disfunzioni alle articolazioni della mandibola: asimmetrie del viso con mandibola deviata lateralmente, retrusione mandibolare (persone con il mento e il labbro inferiore arretrati rispetto al labbro superiore) e visi con una crescita verticale eccessiva.

Una visita odontoiatrica approfondita

Da quanto enunciato si evince che una visita odontoiatrica deve comprendere di routine un’anamnesi per indagare disturbi alla colonna cervicale, cefalee, qualità del sonno, attività professionale, parafunzioni, abitudini viziate e posture scorrette oltre a un esame obiettivo che comprenda una valutazione delle articolazioni temporo-mandibolari e dei muscoli correlati.

La visita richiede più tempo, si devono imparare alcune manovre di analisi manuale, approfondire l’anamnesi senza fermarsi alla scheda compilata dal paziente in sala d’aspetto, ma sarà tutto tempo risparmiato per il futuro che non riserverà a noi e al paziente imprevisti spiacevoli nel corso o, peggio, alla fine di terapie, magari lunghe e complesse.

Gummy smile - Studio dentistico associato Motta Jones Rossi - Milano centro

Il gummy smile

Il gummy smile

Il cosiddetto gummy smile, o sorriso gengivale, è caratterizzato da un’eccessiva esposizione delle gengive. Viene chiamato così per via dell’ampia esposizione gengivale del sorriso. Si tratta di un problema di estetica dentale, che crea uno sbilanciamento poco gradevole quando si sorride e una disarmonia dei denti che appaiono più piccoli.

In un sorriso equilibrato e armonioso, la distanza tra il bordo inferiore del labbro superiore e il margine gengivale degli incisivi centrali non dovrebbe superare 1 o 2 mm. Mentre nel sorriso gengivale c’è una distanza di almeno 4 mm che, nei casi più estremi, rende assolutamente sgradevole il sorriso.

Quali sono le cause del gummy smile?

Le cause del sorriso gengivale sono principalmente tre:

  1. L’assenza di eruzione passiva, ossia quando la gengiva si ritrae scoprendo l’intera corona del dente. Il risultato è un’eccessiva quantità di gengiva e una ridotta esposizione dell’elemento dentario;
  2. La causa scheletrica del gummy smile, che può essere un’eccessiva protuberanza dell’osso mascellare o un’eccessiva crescita verticale dell’osso;
  3. Il sorriso gengivale può anche essere di natura muscolare, causato appunto dall’iperattività del muscolo elevatore del labbro superiore.

La cura del gummy smile

Presso lo studio dentistico Motta Jones, Rossi e Associati ci occupiamo di risolvere gli inestetismi del sorriso causati dal gummy smile, mediante l’intervento chirurgico oppure attraverso l’utilizzo della tossina botulinica.

La correzione chirurgica prevede il riposizionamento verso il basso della mucosa gengivale dell’arcata dentale superiore, fino ad arrivare in prossimità del colletto dentale. L’obiettivo è una ridotta e più naturale esposizione delle gengive superiori. Il risultato dell’intervento chirurgico terapeutico per l’eliminazione del sorriso gengivale è definitivo.

La tossina botulinica viene iniettata in alcuni punti della radice del naso e comporta un rilassamento dei muscoli elevatori del labbro superiore che causano il gummy smile. In questo modo si evita che la gengiva venga scoperta eccessivamente. Il risultato in questo caso ha una durata limitata, di circa 4-6 mesi. Dopo questo periodo sarà necessario sottoporsi ad un’altra seduta.